A caccia di alieni, inseguendo la loro spazzatura

ricostruzione artistica del James Webb Space Telescope
ricostruzione artistica del James Webb Space Telescope

Se un domani una catastrofe nucleare dovesse cancellare dalla faccia della Terra tutte le nostre civiltà, come nei peggiori incubi, o se un giorno un virus violento ed implacabile sterminasse rapidamente l’umanità intera, più o meno come accade nei film di fantascienza, cosa resterebbe di noi? Naturalmente la spazzatura! Immense quantità di pattume accumulate nei mari, negli Oceani, sulle superfici delle terre emerse ma anche nello spazio, tutto attorno al nostro Pianeta, tra rottami spaziali e satelliti in disuso; e poi gas nell’atmosfera e veleni nelle acque. Insomma, decisamente i nostri resti potrebbero tranquillamente sopravvivere alla specie.

Alla ricerca di forme di vita inquinanti

Da questa riflessione quasi scontata prende le mosse l’ultima idea di un gruppo di ricercatori dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics il quale sostiene che sarebbe sufficiente cercare tracce di inquinamento nello spazio, e in particolare in prossimità di Pianeti extrasolari, per risalire a civiltà extra-terrestri. D’altronde, visto il recente annuncio degli esperti del SETI Institute (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), secondo i quali entro i prossimi vent’anni potremmo goderci il primo “incontro ravvicinato” (sempre ammettendo che ci sia qualcuno da incontrare), sarebbe effettivamente lecito iniziare a valutare la migliore strategia utile a conseguire il prima possibile questo risultato.

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Fino ad oggi la ricerca di forme di vita aliena si è concentrata soprattutto sull’obiettivo di individuare elementi come l’acqua, l’ossigeno e il metano: tuttavia la presenza di questi “mattoni fondamentali” può essere spia della presenza di forme di vita magari anche elementari ma non sarebbe in grado di dirci nulla in merito alla tipologia di creature che ci troveremmo dinanzi. Sostanze inquinanti, viceversa, potrebbero costituire una sorta di “marchio di fabbrica” di una civiltà evoluta, magari in possesso di un’industria: certo, sempre ammettendo che gli alieni in questione non abbiano compreso con largo anticipo rispetto a noi che inquinare non è poi un’idea molto intelligente e non siano in possesso di tecnologie tali da aggirare l’ostacolo. Insomma, la speranza sarebbe quella di incappare in qualcuno che abbia praticamente i nostri medesimi problemi.

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Il James Webb Space Telescope

Sì, ma quali inquinanti cercare? E in che modo? Il James Webb Space Telescope, frutto del lavoro congiunto delle agenzie spaziali americana, europea e canadese, sarà lo strumento di nuova generazione destinato a questo scopo, prendendo il posto di Hubble: il suo lancio è previsto per il 2018. Grazie ad esso, gli scienziati guidati da Henry Lin sostengono che saranno in grado di intercettare l’eventuale presenza dei famigerati clorofluorocarburi, i composti chimici contrassegnati dalla sigla CFC messi al bando dal protocollo di Montreal nel 1990 perché ritenuti altamente dannosi per l’ozono della nostra atmosfera. Alcuni tra questi, come il tetrafluorometano, possono restare nell’aria per migliaia di anni.

Il limite di questa missione, secondo quanto spiegato dagli esperti all’INAF, sta nella sensibilità del telescopio in questione, al momento ancora migliorabile: il James Webb, infatti, sarà in grado di rilevare eventuali tracce di inquinamento industriale su Pianeti extrasolari soltanto qualora questi orbitino attorno ad una nana bianca, Stella di piccole dimensioni e bassa luminosità. Per ottenere misurazioni simili relative anche a Pianeti la cui Stella madre sia come il nostro Sole bisognerà attendere telescopi ancora più avveniristici.

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Immaginate un pianeta che orbita intorno alla sua stella madre: se stiamo osservando la stella da lontano in direzione del piano orbitale, vedremo che il pianeta passa davanti alla stella in maniera regolare. In quel momento una frazione della luce della stella passa attraverso l’atmosfera del pianeta dirigendosi verso di noi; la luce viene assorbita dagli atomi o dalle molecole nell’atmosfera del pianeta, che ha una impronta spettrale associata alle lunghezze d’onda con cui assorbe la luce. Misurando lo spettro della luce che passa attraverso l’atmosfera del pianeta possiamo studiare nel dettaglio la composizione della sua atmosfera. Per quanto riguarda le nane bianche, che hanno una dimensione paragonabile a quella della Terra, l’occultazione di luce da parte di un pianeta, orbitante la fascia abitabile, sarebbe decisamente superiore, rendendo la sfida più abbordabile. (Avi Loeb, Università di Harvard)

Insomma, soltanto un piccolo passo in direzione dell’universo dove speriamo di trovare i nostri fratelli remoti: ma le strade da percorrere per questa impresa non da poco, si sa, saranno numerose e complesse. L’importante è sapere che ne varrà comunque la pena.

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Fonte: http://scienze.fanpage.it

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