La grande fusione non è poi tanto lontana. E anche la censura.

facebook-microsoft-apple-facebookIstituita “The Partnership on Artificial Intelligence to Benefit People and Society“, un gruppo che mette assieme nomi quali Amazon, Facebook, Google, IBM e Microsoft e alla quale, con molta probabilità, aderirà anche Apple. Il gruppo è stato ufficialmente creato per parlare di “inclusività, trasparenza e privacy, interoperabilità, collaborazione” e  prevede 10 membri in tutto, cinque dei quali provenienti dalle cinque aziende indicate: Ralf Herbrich, dirtettore del Machine Learning in Amazon; Mustafa Suleyman, co-presidente DeepMind; Greg Corrado, scienziato Google Research; Yann Lecun, direttore AI Research in Facebook; Francesca Rossi, unico membro italiano del gruppo: proveniente dall’Università di Padova, ricercatrice per il progetto Watson di IBM e già in precedenza alla guida della International joint conferences on Artificial Intelligence; Eric Horvitz per Microsoft. La parte restante proviene dal mondo accademico o non-profit.

L’obiettivo è infatti anche quello di costituire le basi di una sorta di “intelligenza artificiale globale“. In parole povere unire tutti i dati per confluirli in una macchina perfetta. Si ignorano le reali motivazioni.

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Il punto è proprio questo: come è possibile pensare che multinazionali del web e dell’informatica quotate in borsa e che campano sul “Big data” offerto continuamente dai navigatori, abbiano a cuore la tutela della privacy dei loro utenti?

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Sarebbe come dire che le aziende farmaceutiche uniscano le forze per non far ammalare più nessuno. Lodevole, ma poco credibile. Il vero pericolo di cui dovrebbero discutere è la fusione di menti libere in una sola grande società, e questo, a giudicare dalle intenzioni, non è da escludere. L’Italia si svegli e torni ai tempi dell’Olivetti. Non possiamo ridurci ad essere consumatori passivi e monopolizzati e ci sono tantissimi giovani li fuori, disposti a costruire società rivoluzionarie anche con risorse limitate. Serve soltanto un sostegno da parte delle istituzioni, ad oggi totalmente assenti. Grazie ad un finanziamento parastatale, in Francia, è nata DailyMotion, oggi diretto concorrente di Youtube e 2° più grande sito web di video-sharing al mondo. I video censurati su Youtube spesso vengono diffusi sul sito francese.

Dall’altra parte del mondo, in Russia, è nato Telegram, tecnicamente migliore di Whatsapp, che nel frattempo è stata guarda caso acquistata da Facebook. Telegram, rispetto a Whatsapp, gode di tecnologia open source ed è quindi migliorabile dagli stessi utenti. Da quando c’è Chrome, Mozzila Firefox ha perso molto. Eppure si trattava di una fondazione open source non a scopo di lucro. Se il funzionamento di Chrome potrebbe rivelarsi più versatile, risultano più versatili gli scambi di dati personali tra le aziende. In parole povere, il web si sta trasformando in un’unica grande multinazionale dove i piccoli produttori liberi fanno fatica a sopravvivere.

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La libertà viene in parte e momentaneamente garantita attraverso canali web alternativi alle multinazionali americane. Ma se non ci svegliamo in tempo, l’intelligenza artificiale mondiale potrebbe essere soltanto una. E chi ci guadagna ancora una volta saranno le grandi società d’oltreoceano.  In maniera impeccabile ed indeterminata.

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