Ecco come le onde di Alfvén confinano le particelle

Per settant’anni non le è riuscite a vedere nessuno. Ora ecco che, nell’arco di pochi giorni, le ineffabili onde di Alfvén diventano di colpo protagoniste delle maggiori riviste scientifiche. È accaduto a marzo su Scientific Reports, dove un team del quale fa parte anche Marco Stangalini dell’Inaf di Roma riporta la prima osservazione delle onde torsionali di Alfvén ad alta frequenza nell’atmosfera del Sole. E ora su Nature Comunications, in un altro articolo dedicato questa volta alle misure compiute con MMS, il Magnetospheric Multiscale della Nasa, una missione che fa uso di quattro satelliti identici, in formazione piramidale, posti a poco più di sei km di distanza l’uno dall’altro.

Proprio questa distanza ridotta ha consentito agli scienziati di osservare in dettaglio e finalmente comprendere come il campo magnetico associato a queste onde di plasma riesca a trasferire con grande efficacia l’energia: una scoperta con possibili ricadute anche per i futuri reattori a fusione nucleare. In particolare, i dati raccolti da MMS hanno consentito di osservare due tipi diversi di onde di Alfvén. Da una parte, quelle cosiddette “tipiche”, dove le particelle cariche, qui rappresentate in giallo, sono libere di correre nel solco fra una cresta e l’altra delle onde del campo magnetico, qui raffigurato alle frecce blu. Dall’altra, le onde di Alfvén cinetiche, che muovendosi lungo il plasma intrappolano alcuni degli elettroni, facendoli rimbalzare avanti e indietro come fra due muri, o fra due specchi. Una proprietà, questa di confinare con tale efficacia le particelle, predetta mezzo secolo fa ma mai osservata con tale precisione.

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Servizio di Marco Malaspina

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