Gli astronomi le chiamano “jellyfish galaxies”, “galassie medusa”, e il motivo lo si intuisce guardandole: precipitando per effetto della gravità verso il centro degli ammassi ai quali appartengono, si lasciano alle spalle lunghi tentacoli di gas. Gas strappato via dalla cosiddetta “ram pressure”, un effetto che, sottraendo appunto gas – e dunque nutrimento – al buco nero supermassiccio che alberga nel cuore di queste galassie, dovrebbe renderlo inattivo. E invece un team di astronomi guidato da Bianca Poggianti dell’INAF di Padova ha scoperto che sembra avvenire esattamente il contrario: fra le “galassie medusa”, dicono i risultati pubblicati oggi su Nature, c’è una percentuale elevatissima di AGN, di nuclei attivi, ovvero di galassie il cui buco nero centrale è più scatenato che mai. Come se la “ram pressure”, invece di sottrargli cibo, finisse per aiutarlo a nutrirsi con ancor più facilità. Lo studio è stato condotto, nell’ambito del programma GASP, con lo spettrografo MUSE, montato sul Very Large Telescope dell’ESO, in Cile.
Servizio di Marco Malaspina
Crediti per le animazioni: Callum Bellhouse and the GASP collaboration
Per saperne di più: http://www.media.inaf.it/2017/08/16/buchi-neri-ram-pressure/
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