“Borse” sugli antichi bassorilievi della Mesopotamia: il significato secondo gli studiosi di archeologia

Borse” all’ultima moda che anticipano di millenni (circa III a.C.) le sfilate o magari strumenti computerizzati di origine aliena. Mentre sui social (come sempre) si consumano ipotesi fantasiose o comunque non ufficiali, per l’archeologia ufficiale le misteriose “borse” raffigurate in bassorilievi dell’antica Mesopotamia rappresenterebbero un simbolismo già noto:

Demone dalla testa d’aquila

Con il termine “secchio e cono” si intendono attributi gemelli che sono spesso tenuti nelle mani di geni alati raffigurati nell’arte della Mesopotamia e nel contesto dell’antica religione mesopotamica , in particolare nell’arte dell’Impero neo-assiro (911-605 a.C.) e in particolare assiro rilievi del palazzo di questo periodo – a volte, tuttavia, si tiene solo il secchio e l’altra mano è sollevata in quello che potrebbe essere un rito di benedizione. In misura minore tali immagini erano rappresentate anche in immagini dell’Impero neo-sumerico, dell’antico impero assiro, dell’impero babilonese e dell’impero medio assiro.

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Uno spirito protettivo con testa d’aquila che tiene il secchio e il cono

Contesto storico:

Questi oggetti sono spesso esposti in associazione con un albero stilizzato, davanti a decorazioni floreali, figure di guardiani, il re e/oi suoi attendenti e porte o portali aperti. [1] Il cono era apparentemente tenuto in alto nella mano destra, il “secchio” tenuto penzolante verso il basso nella mano sinistra della figura, che è quasi sempre quella di un genio alato o di un demone o mostro dalla testa animale (sebbene non necessariamente con il stesse connotazioni negative); solo molto occasionalmente questi attributi potrebbero essere portati da una figura completamente umana.

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Identità:

Per quanto riguarda l’identità degli oggetti gemelli, la “pigna” è generalmente riconosciuta come una pigna turca ( Pinus brutia ), comune in Assiria, anche se altre identificazioni comuni suggeriscono l’infiorescenza maschile della palma da datteri (Phoenix dactylifera), oppure come una modello in creta che imita la forma dell’uno o dell’altro. [2] Il secchio era presumibilmente di metallo o di vimini e si pensa che contenesse acqua santa o polline, o forse entrambi.

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Usi:

Sebbene i testi completamente esplicativi riguardanti questi oggetti siano estremamente rari, sembra molto probabile che fossero impiegati insieme in rituali di purificazione, come rivelato dai loro nomi accadici (alias assiro, babilonese): banduddû (“secchio”) e mullilu (“purificatore “). [3] In questo caso la pigna verrebbe immersa nel secchio d’acqua prima di essere scossa per purificare ritualmente una persona o un oggetto. [4] In alternativa, la stretta associazione degli oggetti con raffigurazioni di alberi stilizzati ha portato a suggerire che rappresenti la fecondazione[4] In questo caso il polline del fiore maschio della palma da datteri verrebbe gettato sull’albero[4]

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