Un antico cratere corinzio sembra raffigurare il cranio di un dinosauro (ma c’è anche un’altra spiegazione che riguarda un mammifero preistorico)

Un antico cratere corinzio risalente al periodo classico ellenico sembra raffigurare – almeno vagamente – una versione “storpiata” di quello che al giorno d’oggi potremmo facilmente paragonare al cranio di un grosso dinosauro carnivoro. Per tentare di risolvere il “mistero archeologico“, gli autori di GloboChannel.com hanno effettuato un lavoro di fact checking per risalire alle origini delle fotografie:

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Stando a quanto si apprende, le immagini diffuse in rese non rappresentano un falso e nemmeno frutto di un fotomontaggio con l’Intelligenza Artificiale. Si tratta infatti di un autentico reperto archeologico oggi custodito nel Museum of Fine Arts di Boston (nello stato del Massachusetts, negli Stati Uniti d’America) confermato anche sul sito ufficiale del museo americano con il nome in codice di “63.420“. Secondo l’interpretazione degli studiosi moderni, l’opera dipinta sul vaso mostra i personaggi mitologici di Eracle (personaggio che nella cultura romana sarebbe diventato Ercole) ed Esione (una delle principesse di Troia) che attaccano il “mostro di Troia” con arco e frecce. Secondo il mito, il quinto re di Troia, Laomedonte, per fortificare la città, chiese l’aiuto di due potenti divinità: Apollo e Poseidone. Una volta terminati i lavori, il re si rifiutò di pagare loro il compenso pattuito. Come punizione per la sua avidità, Poseidone inviò un terribile mostro marino a devastare le coste troiane e divorarne gli abitanti. Tuttavia, il leggendario “mostro” in questo caso, sembra il cranio di dinosauro che si erode da una rupe: seppur diverso dai reali crani di dinosauro per forma, l’ipotesi potrebbe essere avvalorata dall’osservazione accurata dei denti angolati, dei fori di scarico gerarchici dietro e davanti all’orbita oculare e delle piccole ossa segmentate che circondano l’orbita oculare. Resterebbe inoltre da chiedersi che specie potesse appartenere il reperto trovato all’epoca: i fossili di dinosauro carnivoro in Europa sono mediamente di dimensioni inferiori a quelli trovati in Africa ed in America mentre quello raffigurato nell’opera sembra di grandi dimensioni. Un’altra possibile spiegazione consisterebbe nell’enfatizzazione artistica di un reperto di dimensioni più ristrette. Un’ulteriore spiegazione è sostenuta da uno studio scientifico che indica nel Samotherium (un mammifero preistorico imparentato con la giraffa) in un possibile candidato:

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Nella foto: il cranio di un Samotherium (Fonte: Wikipedia.org)

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Quest’ultimo era infatti provvisto di un cranio con l’estremità rivolta verso il basso, anche se i denti nella raffigurazione sembrano quelli di un animale carnivoro. Il reperto – Tardo corinzio arcaico – risalirebbe al 550 a.C. (Corinto, Grecia). Una possibile spiegazione è che quel teschio rappresenti una creatura immaginaria, forse ispirato ad un animale ancora oggi esistente ed ingigantito per l’occasione. Tuttavia, la presenza di una roccia e di caratteristiche associabili ad un animale estito potrebbe invece aprire ad un’ipotesi ben più affascinante. Seppur nata molti secoli dopo, una forma arcaica di paleontologia era già ampiamente diffusa in epoca classica: gli antichi greci e romani (e molto probabilmente anche cinesi e altre civiltà dell’eurasia) spesso associavano le ossa di dinosauro a creature mitiche e giganti, come i Titani o i Ciclopi. Queste ossa, spesso enormi e insolite, erano quindi associate a resti di esseri potenti e soprannaturali, dei “mostri” influenzati da origini divine. C’è chi ipotizza infatti che il ritrovamento di ossa di protoceratops (un dinosauro vegetariano asiatico di piccole dimensioni, simile al più grande triceratops) possano aver ispirato il mito del grifone (la creatura per metà leone e per metà aquila):

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A sinistra la foto di uno scheletro di protoceratops esposto presso il Carnegie Museum of Natural History, a destra la rappresentazione antica di un leggendario Grifone su di un sarcofago del 480-470 a.C. a Clazomene, in Turchia.

Dal VI secolo a.C., Senofane (570-480 a.C.) e in seguito Erodoto (484-425 a.C.), Eratostene (276-194 a.C.) e Strabone (64 a.C.-24 d.C.) trattarono di fossili di organismi marini e ipotizzarono che le rocce nelle quali erano stati trovati fossero state, un tempo, sott’acqua.[6] Nel corso del Medioevo, i fossili furono discussi dal naturalista persiano Ibn Sina (980-1037) in The Book of Healing (1027).[2] Egli modificò l’idea delle esalazioni vaporose di Aristotele, proponendo una teoria dei fluidi pietrificanti (succus lapidificatus), che sarà elaborata da Alberto di Sassonia solo nel XIV secolo.[7]Il naturalista cinese Shen Kuo (1031-1095), utilizzò fossili marini trovati nelle montagne Taihang per dedurre l’esistenza di processi geologici come la geomorfologia e lo spostamento delle coste marine nel tempo.[8] Usando la sua osservazione di bambù pietrificati conservati, trovati sottoterra a Yan’an, sostenne una teoria sul graduale cambiamento climatico, poiché quella città si trovava in una zona a clima secco che non supportava un habitat per la crescita dei bambù.[9] La scoperta di teschi di dinosauri carnivori potrebbe aver inoltre alimentato nel tempo le leggende riguardanti i grandi draghi predatori, intensificate nel periodo medievale.  Agli appassionati dell’argomento, consigliamo di cliccare “mi piace” sulla pagina Facebook.com/archeologiageologiapalentologia per seguire tutti gli aggiornamenti.

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(a cura di Nick)

Fonti:

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