Al National Astronomy Meeting l’annuncio: “piccola era glaciale nel 2030”. Ma dall’Inaf smentiscono allarmismi

Tra il XVI e il XIX secolo i lunghi periodi di gelo portarono la città di Londra a organizzare delle Fiere del ghiaccio lungo il fiume Tamigi, i Thames Frost Fair (in un'immagine del 1683-84)
Tra il XVI e il XIX secolo i lunghi periodi di gelo portarono la città di Londra a organizzare delle Fiere del ghiaccio lungo il fiume Tamigi, i Thames Frost Fair (in un’immagine del 1683-84)

Un crollo repentino delle temperature, noto come Maunder Minimun (Minimo di Maunder), già visto tra il 1646 e il 1715, quandò si registrò persino il congelamento del Tamigi, potrebbe verificarsi tra il 2020 e il 2030. Una piccola era glaciale. E’ l’annuncio shock presentato dalla professoressa Valentina Zharkova, la quale ha illustrato i risultati durante il National Astromy Meeting di Llandudno, in Galles. Lo studio si basa su un modello che suggerirebbe il crollo dell’attività del 60% entro il 2030. 

Le ricerche confermerebbero, almeno in parte, le dichiarazioni di Victor Manuel Velasco Herrera, un fisico teorico e ricercatore presso l’Istituto di Geofisica dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) che nel corso del 2014 riportò diverse dichiarazioni citando sempre l’osservazione delle attività solari. In quel caso il ricercatore fu sostanzialmente deriso e smentito dalla comunità internazionale. Conclusioni molto simili furono rese note anche da Richard Harrison, dell’Rutherford Appleton Laboratory (nell’Oxfordshire), il quale dichiaro che l’attività solare avrebbe potuto calare in maniera drammatica entro i prossimi 40 anni. Dichiarazioni separate nel tempo ma accomunate da informazioni molto simili tra loro.

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"The Frozen Thames" 8Il Tamigi ghiacciato), olio su tela dipinto dall'artista Abraham Hondius nel 1677
“The Frozen Thames” 8Il Tamigi ghiacciato), olio su tela dipinto dall’artista Abraham Hondius nel 1677

Meno allarmante e molto differente risulta invece la ricostruzione del Notiziario online dell’Istituto Nazionale di Astrofisica italiano (MEDIA INAF), che nel corso del 2015 intervistò Mauro Messerotti, esperto di fisica solare presso l’INAF-Osservatorio astronomico di Trieste:

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Partiamo dallo studio all’origine di questa previsione, il modello presentato da Valentina Zharkova al meeting in Llandudno. Di che si tratta?

«Il Sole è un sistema fisico complesso nel quale operano vari meccanismi concorrenti che hanno natura caotica. Questo rende molto difficile la previsione dell’evoluzione futura dei fenomeni che osserviamo sulla nostra stella, dal campo magnetico generale a quello localizzato nelle macchie solari, ecc. Infatti ciascun ciclo di attività solare è diverso da tutti gli altri per durata, intensità massima e forma. E questo vale sia per il ciclo undecennale delle macchie solari che per quello ventiduennale dei campi magnetici.

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Vari modelli sono stati proposti per prevedere il ciclo di attività (ne esistono molte decine), e alcuni di essi cercano di riprodurre l’evoluzione del meccanismo della dinamo solare, che è alla base della formazione delle macchie solari. A causa della natura caotica dei processi solari (e ciò vale anche per quelli che esibiscono una caoticità di tipo deterministico) la previsione dell’evoluzione futura del ciclo di attività non ha ancora condotto a risultati soddisfacenti. La recente riprova è stata l’inadeguatezza nel prevedere il ciclo attuale, preceduto da un prolungato minimo e di modesta intensità.

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Il metodo di Zarkhova e collaboratori considera un meccanismo basato su due processi di dinamo distinti che operano nel Sole a profondità diverse e con fasi diverse, i cui effetti si rinforzano oppure si cancellano a seconda del periodo considerato. Gli autori hanno inoltre applicato con successo il loro modello su tre cicli di attività e l’hanno quindi usato per prevedere l’andamento futuro del ciclo, che indicherebbe un’evoluzione verso un indebolimento significativo dell’attività solare nei prossimi decenni».

Ed è una previsione affidabile?

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«Il modello è certamente originale e promettente, ma necessita, secondo me, di ulteriori verifiche prima che possa essere assunto come uno strumento operativo. Ciò è prassi comune nella meteorologia dello spazio: gli scienziati formulano un modello, ma prima che esso divenga strumento di previsione deve essere verificato per comprenderne i limiti e le capacità, un processo che di solito richiede molti decenni.

In particolare servono dettagliate osservazioni eliosismologiche per confermare la possibilità che esista un processo di dinamo più superficiale, in regioni dove la turbolenza è molto elevata. Oltre a questo, il modello deve essere verificato sul maggior numero possibile di cicli. Anche così, la caoticità del Sole potrebbe rendere incerta la previsione.

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Per dare un’idea del problema possiamo fare una serie di considerazioni. Supponiamo infatti che il ciclo di attività solare abbia iniziato a manifestarsi 4,6 miliardi di anni fa. Ciò significa che ad oggi il Sole ha esibito 418 milioni di cicli undecennali, di cui quelli codificati scientificamente dal 1750 sono 24, quelli verificatisi dall’inizio dell’Era Spaziale (1957) sono 5 e quelli studiati compiutamente da sonde spaziali sono solo 2. Ecco perché servono studi sistematici e diacronici (a lungo termine) del Sole: per comprenderne meglio la fisica ovvero per poter verificare la modellistica».

Ma quel 60% di attività solare in meno ripreso da molti media, anche qui in Italia, allora? Si sono visti titoli che annunciano, per il 2030, un possibile “crollo delle temperature”, una “mini-era glaciale”…

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«L’andamento degli ultimi cicli di attività solare sembra indicare un indebolimento progressivo dell’attività, ma gli aspetti evidenziati ci rendono cauti nell’accettare previsioni a lungo termine, poiché non abbiamo ancora un modello “definitivo” che ci garantisca un elevato livello di confidenza.

Oltre all’incertezza dei modelli, ci sono altri fondati motivi per considerare azzardato affermare che ci stiamo avviando verso un’era glaciale perché l’attività solare si ridurrà del 60%.

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Innanzitutto, come sottolinea il Pannello Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), il nostro livello di comprensione scientifica sul ruolo del Sole nei cambiamenti climatici è ancora molto basso. Sicuramente la radiazione solare più energetica (X ed UV) varia fino ad un fattore 10 dal minimo al massimo di attività e ha un ruolo nella termodinamica dell’atmosfera terrestre, ma i meccanismi sono complessi ed ancora non completamente compresi.

Probabilmente variazioni a lungo termine dell’irradianza spettrale del Sole concorrono a modificare l’Oscillazione Artica (AO) e quella Nord-Atlantica (NAO) della pressione atmosferica a livello del mare, modificando intensità e direzione dei venti occidentali e delle perturbazioni. Ma studi e analisi sono in corso, e non esiste una risposta definitiva. Quindi, nonostante diverse indicazioni siano state identificate, non siamo assolutamente certi che una diminuzione di attività solare prolungata possa condurre a una glaciazione sulla Terra».

Provando ad azzardare una stima, però, la temperatura potrebbe scendere? E se sì di quanto?

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«Gli studi del paleoclima evidenziano variazioni di temperature globali nel passato della Terra in associazione con diminuzioni prolungate per decenni dell’attività solare. La diminuzione di temperatura globale stimata per i casi più recenti è dell’ordine di 1 grado centigrado, che non è certo trascurabile».

Quali sono i casi più recenti? Quello al quale fa riferimento Valentina Zharkova, per esempio, la “mini era glaciale” iniziata del 1645?

«Gli studi climatologici indicano che la Piccola Era Glaciale si è verificata sulla Terra tra il 1550 ed il 1850, evidenziando tre periodi particolarmente freddi alle latitudini intermedie ad iniziare, rispettivamente, dal 1650, 1770 e 1850. Mentre l’attività solare ha presentato una serie di periodi a livelli minimi dal 1280 al 1350 (70 anni, Minimo di Wolf), dal 1460 al 1550 (90 anni, Minimo di Spoerer), dal 1645 al 1715 (70 anni, Minimo di Maunder) e dal 1790 al 1830 (40 anni, Minimo di Dalton). Sia le cronache dell’epoca che gli studi scientifici evidenziano una diminuzione di temperature in corrispondenza a tali periodi.

D’altra parte la loro durata e la loro collocazione temporale suggeriscono come sia impossibile identificare periodicità ben definite di tali fenomeni, che avvengono, evidentemente, a scale temporali diverse e questo complica il quadro fenomenologico e quindi la sua previsione a lungo termine».

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Insomma, parlare di scenari inquietanti e di rischio di glaciazioni imminenti pare sia ancora prematuro…

«A mio avviso, la previsione relativa al 2030 ha una margine di incertezza molto elevato, che deriva dal comportamento caotico dei processi solari, dalla limitata comprensione che di essi abbiamo e dalla inevitabile semplificazione introdotta dai modelli, la cui verifica a lungo termine è una necessità irrinunciabile».

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