Buon compleanno Web. Alla faccia di chi odia la democrazia

Tim Berners-LeeLa mattina che persi l’autobus e mi trovai nel posto sbagliato, a Mestre faceva freddo. Vidi il cadavere di Sergio Gori, dirigente del Petrolchimico, a terra, già coperto dal lenzuolo. Pochi metri più avanti il commissario Alfredo Albanese andava su e giù, il cappotto aperto, il volto livido. Non poteva sapere, ma forse intuiva: di lì a qualche mese lo stesso destino sarebbe toccato a lui. Così, 34 anni fa, imparai che l’odio politico nel nostro paese poteva uccidere. Oggi sento affermare dal presidente della Camera Laura Boldrini che l’hate speech, l’incitamento all’odio, nasce e si alimenta in Rete. È la stessa Rete che – secondo una proposta di legge liberticida del deputato del Pd Alessandra Moretti, poi ritirata in un momento di resipiscenza – rischierebbe di essere uno spazio in cui i diritti fondamentali sono “impunemente violati”. Non li sfiora il fatto che Internet non è virtuale. È parte integrante del nostro mondo.

Il Web proprio questo mese compie 25 anni: è stato un formidabile acceleratore di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di democrazia. Quando Tim Berners-Lee nel 1989 pubblicò il documento che trasformava per sempre Internet, aveva già intuito che la forza straordinaria del Web sarebbe stata la sua stupidità. Una Rete decentralizzata, sovranazionale, in cui l’intelligenza sta ai margini. Ogni nodo, ognuno di noi, si può collegare e aggiungere un servizio, aderendo a standard aperti e protocolli condivisi. Così sono nati Wikipedia, Google, Facebook, Amazon, il tanto vituperato Ask. Invenzioni buone o cattive, come tutti gli strumenti, a seconda di quel che ne facciamo. Un po’ come le nostre vite.

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Oggi, come lo stesso Berners-Lee ha spiegato a Wired, la creatura che non volle mai brevettare è a rischio. Gli Stati ne vogliono fare luogo di dominio geopolitico, ripristinando confini e sfere di influenza. Le grandi aziende hanno a loro volta tentazioni egemoniche (consiglio la lettura di The Circle, l’ultimo romanzo di Dave Eggers). Tutto ciò ha spinto la World Wide Web Foundation a lanciare la campagna webwewant.org, che invito a sottoscrivere.

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Ma mentre negli altri paesi nessuno pensa di cancellare il digitale, noi nelle ultime settimane abbiamo visto intellettuali agli antipodi tra loro sparare a zero contro il Web. Eugenio Scalfari ha sostenuto che è la causa dell’ignoranza, Claudio Magris ha rivendicato il diritto (e ci mancherebbe) alla disabilità digitale, Susanna Tamaro gli ha attribuito la crescita dei tentativi di autodistruzione degli adolescenti, Curzio Maltese ha affermato che è “un passo indietro rispetto all’evoluzione della specie”. Da parte sua la politica, dalla Web tax alle proposte di chiudere i social, non vede l’ora di normare, troncare, sopire. Come in altri ambiti, anche qui si confrontano due diversi paesi. Una parte pienamente contemporanea e un’altra, l’establishment ancora maggioritario nei media, nella politica, nell’economia, che si rivolta perché si sente minacciato dal digitale. Questa paura si salda al familismo amorale delle rendite di posizione dei clan, delle corporazioni, dei piccoli privilegi. Non a caso in Italia il Pil digitale è a poco più del 3%, 50 miliardi di euro, mentre in Inghilterra vale già il 10, ovvero 175 miliardi.

È questa la battaglia da combattere per chi crede nel cambiamento. Non con le spranghe – come negli anni ’70 fecero molti di quelli che ora criticano la violenza del Web – ma con la cultura, l’allegria, il gusto della sfida, l’ironia, la condivisione, l’inclusione. Mostrando ogni giorno le opportunità che la Rete offre per l’economia, la discussione pubblica e l’istruzione. Senza scordare la politica: Internet è troppo preziosa per farcela sottrarre da chi vuole negarla, ma anche per lasciarla all’urlo del tribuno. Che pensa di usarla come clava per ridurre al grado zero la democrazia.

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Fonte: www.wired.it

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