Gli studiosi analizzando con moderne tecniche istologiche, immunoistochimiche e molecolari le decine di mummie rinascimentali conservate nella sacrestia annessa alla chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli, sono riusciti ad identificare ben tre casi di neoplasia maligna in individui tra i 55 ed i 70 anni: un carcinoma basocellulare (ovvero un tumore cutaneo) che ha colpito il volto del duca Ferdinando Orsini di Gravina (circa 1490-1549), un adenocarcinoma avanzato del retto nella mummia del re Ferrante I di Aragona (1424-94) ed un adenocarcinoma del colon in fase iniziale di infiltrazione nella mummia del principe Luigi Carafa di Stigliano (1511-76).
Su undici mummie (dieci uomini ed una donna), tre hanno sviluppato un tumore maligno, cioè il 27% di malattia neoplastica, una percentuale molto vicina al 31% riscontrata nei paesi industrializzati moderni. “Possiamo ipotizzare che nel passato il cancro sia stata una malattia relativamente frequente tra gli individui oltre i 55 anni, almeno per le classi elitarie del Rinascimento che vivevano più a lungo e che potevano permettersi abitudini alimentari e stili di vita non distanti dalle nostre”, dichiara il dottore Raffaele Gaeta, coautore della pubblicazione, – “l’articolo di Lancet dunque può essere un nuovo punto di partenza per lo studio della carcinogenesi del passato, ma solo ulteriori future indagini paleopatologiche potranno definitivamente risolvere quello che viene definito ‘il problema del cancro nell’Antichità’.