“Mutazione Jolie”: la gravidanza dopo il tumore è sicura per mamma e bambino

Per molte giovani donne che hanno affrontato un tumore al seno, la possibilità di avere un figlio è una priorità assoluta. Vogliono sapere quali trattamenti diversi potrebbero fare per salvaguardare la loro fertilità e la salute di un futuro bambino, se rimanere incinta può aumentare la probabilità di avere una recidiva. Matteo Lambertini vuole che anche le donne in questione abbiano queste informazioni.
Recentemente Lambertini è tornato a Genova, dopo tre anni presso l’Institut Jules Bordet di Bruxelles, è specializzato nella gestione del cancro al seno nelle giovani donne, con un particolare interesse per la fertilità e problemi legati alla gravidanza. La scelta di questo “tema” tanto importante, quanto poco seguito sino ad oggi, lo ha reso personaggio di spicco in campo medico.

Il problema della gravidanza post terapia è di grande importanza per molti pazienti ed è anche affascinante a livello biologico, perché il cancro al seno è un tumore maligno che per la maggior parte è guidato dagli ormoni sessuali coinvolti nella fertilità e nella gravidanza. La menopausa precoce e l’infertilità sono effetti collaterali comuni dei trattamenti antitumorali.

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Lambertini è interessato, per esempio, a come minimizzare il rischio che la chemioterapia danneggi la fertilità futura di una donna inducendo la menopausa precoce. Il suo articolo JAMA ha riportato una ricerca guidata dal suo mentore, Lucia Del Mastro, chiedendosi se durante la chemioterapia si possa aumentare la possibilità che le donne riprendano ad avere le mestruazioni dopo il trattamento e quindi di conseguenza la possibilità di rimanere incinta. Inoltre ha concentrato il suo studio, cercando di capire se il concepimento aumenta il rischio di recidiva per i pazienti con una storia pregressa di cancro al seno.
Quanto emerge da questo studio è che non c’è nessun aumento di rischio per le donne che hanno avuto un tumore al seno e che vogliono affrontare una gravidanza e neanche per quelle che sono portatrici della cosiddetta “mutazione Jolie”, quella nei geni BRCA 1 e 2, che aumenta potenzialmente la probabilità di ammalarsi.
La ricerca è stata presentata lo scorso lunedi al meeting dell’Asco.

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