Sepolti sotto Venezia migliaia di morti della peste – video

La pestilenza apparve nella Laguna di Venezia nel 1630 come strascico diretto della Guerra di successione di Mantova e del Monferrato che coinvolgeva direttamente Venezia. Si tramanda che a portare il morbo in Laguna sia stato l’ambasciatore di Carlo I di Gonzaga-Nevers cioè il contendente alla successione mantovana appoggiato dai veneziani. Il diplomatico, già infettato dal morbo, si recò a Venezia per svolgere la propria missione: benché messo in quarantena, le misure precauzionali evidentemente non vennero gestite con efficacia. Il diplomatico mantovano avrebbe contagiato alcuni veneziani con i quali era venuto in contatto, i quali a loro volta, avendo libero accesso alla città, diffusero il morbo tra la popolazione. La peste prese così rapidamente a infuriare. Quella del 1630 fu un’epidemia particolarmente virulenta: tra luglio e ottobre, la città e il dogado registrarono all’incirca 150 000 morti, pari al 40% della popolazione[43]:

Baldassarre Longhena, Basilica di Santa Maria della Salute, Venezia (1631-1687)

Nei mesi di luglio ed agosto del 1630 i registri del Magistrato Supremo di Sanità riportano che nella città di Venezia i decessi furono 48, per toccare il picco nel novembre dello stesso anno, con 14 465 morti. Testimonianza della peste nell’entroterra è il drammatico quadro di Giambattista Tiepolo conservato nella chiesa padovana di Santa Tecla a Este, dove la santa è raffigurata fuori delle mura della città, mentre prega Dio tra cadaveri abbandonati e scene di disperazione. La peste fu infine dichiarata debellata il 21 novembre 1631. Come voto per la fine della terribile pestilenza il governo di Venezia decretò che si erigesse la basilica di Santa Maria della Salute, terminata nel 1687.[43] Parimenti, a Vicenza, alla fine della peste fu deciso l’ampliamento della Basilica di Monte Berico. La grande pestilenza che colpì Venezia venne minuziosamente descritta da un futuro medico, testimone oculare della peste, Cecilio Folio, che intorno al 1680 descrisse i fatti del 1630-1631 in una sua opera citata da Giovanni Bianchi nel 1833.[44] A tal proposito, riportiamo qui sotto il link ad un video-approfondimento diffuso sul web:

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