I ricoveri ospedalieri per Covid, che che in media sia in Italia che in Europa sono legati ad una percentuale di malati tra l’8% e il 12%, possono calare intorno al 2% con la cura domiciliare, a base di antinfiammatori, è ciò che ha approfondito il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri, e dal professor Fredy Suter, ex primario di malattie infettive all’Ospedale di Bergamo.
Il coronavirus è una malattia che se curata nella fase precoce basta poco per essere sconfitta. Lo dice il professore stesso: “Tutto è partito dall’intuizione del Primario di Malattie Infettive del nostro ospedale, il professore Fredy Suter, e da un gruppo di medici che hanno lavorato con lui e con noi: fin dall’inizio avevano l’idea che la malattia di Covid-19 si potesse curare a casa nelle fasi molto precoci, fin dai primi sintomi, senza aspettare il tampone, semplicemente come si cura qualunque infezione delle alte vie respiratorie e cioè con degli antinfiammatori”. Ma dopo l’intuizione ci vuole sempre una conferma effettiva, ed ecco che è nata l’idea dello studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista preprint, in attesa di essere pubblicati su una rivista scientifica ufficiale.
Ovviamente la cura domiciliare, non deve essere un fai da te, ma il medico deve necessariamente visitare il paziente e prescrivere la terapia più adatta e successivamente deve seguirlo. La terapia può evolversi nel corso dei giorni, come si evolve la malattia stessa. I risultati sono molto buoni. Tuttavia, sino ad ora non c’era un valore scientifico che asserisse che la cura domiciliare funzionasse effettivamente, ecco perchè il dottor Remuzzi e il suo team hanno voluto approfondire con una ricerca.
Gli antinfiammatori proposti dal team dei medici del Mario Negri sono in particolare il Celecoxib, perchè in letteratura scientifica è capace lavorare su una serie di inibitori dell’infiammazione. L’altro medicinale consigliato è il Nimesulide, con le stesse proprietà. Ovviamente, come abbiamo già scritto, non sono medicinali da utilizzare senza parere medico, ma devono essere prescritti da professionisti che seguono il caso specifico. In alternativa viene utilizzata l’aspirina, questo per i primi 6-8 giorni, se l’infiammazione è molto diffusa, si aggiunge l’utilizzo di cortisone. Mai prima di 8 giorni. E poi eventualmente eparina se ci sono segni di coaguli.
Nello studio sono stati messi a confronto 90 pazienti sottoposti ad una cura di antinfiammatori e 90 pazienti sottoposti a vigile attesa e uso della tachipirina. I pazienti avevano tutti caratteristiche simili: età,sesso, malattie cardiovascolari,diabete ecc…I risultati sono stati sorprendenti, infatti si è registrata il 90%di riduzione dei giorni di ospedalizzazione e 90% di riduzione dei costi di ospedalizzazione. La durata dei sintomi non si riduce, ma il numero di ospedalizzazioni si è ridotto notevolmente: 2 ospedalizzazioni su 90 con la cura antinfiammatoria e 13 su 90 con la vigile attesa. Come specifica anche il dottor Remuzzi, questa malattia necessita di una terapia precoce, non si possono attendere tempi lunghi prima di iniziare a curarla. Il virus nei primi 6 giorni si moltiplica in modo esponenziale, per poi rallentare successivamente, ma poi possono subentrare altri problemi. Intervenire in modo tempestivo è fondamentale.
Altri studi stanno verificando anche l’efficacia dell’Ivermectina, i risultati non sono ancora resi noti, ma potrebbe funzionare come per gli antinfiammatori utilizzati all’ospedale Negri. Anche gli anticorpi monoclonali funzionano molto bene se somministrati entri 10 giorni dall’inizio della malattia, altrimenti non fanno più effetto. In entrambi i casi però è difficile reperire queste soluzioni, mentre gli antinfiammatori indicati nello studio di Remuzzi sono facilmente reperibili, dopo essere stati prescritti dal medico.
Ovviamente non possiamo sapere se avessimo utilizzato dall’inizio cure antinfiammatorie, se la situazione oggi sarebbe stata differente, ma abbiamo certamente oggi dei risultati specifici, anche se lo studio effettuato è retrospettivo, la differenza di numero delle ospedalizzazioni è davvero rilevante. Il dottor Remuzzi specifica che la lotta al coronavirus, si effettua tramite distanziamento e mascherina, più del lockdown, cure che funzionino in modo precoce, poi c’è il vaccino che è importante, ma non arriva dappertutto. Infine c’è l’immunità di chi l’ha già preso. Su uno studio recente , pubblicato su Nature è specificato ad esempio che la variante sudafricana produce anticorpi contro tutte le varianti.
Questo virus è difficile da controllare, anche perchè si diffonde molto rapidamente, ma non dobbiamo dimenticare che ogni anno l’influenza fa dagli 8 ai 20 mila morti e questo non suscita alcun tipo di emotività. Inoltre le persone anziane e deboli che hanno l’influenza, muoiono dopo 2 giorni, con il coronavirus alcuni guariscono, altri purtroppo no e l’agonia è più lunga, può arrivare fino a 40 giorni. Non dobbiamo dimenticare che nella maggior parte dei casi la malattia si risolve in modo abbastanza semplice. Ecco perchè è importante approfondire questo studio e continuare a lavorare per trovare una cura preventiva che abbatti il numero dei casi gravi, già minimi.
Fonte: huffingtonpost.it